Modelli di business

Digital disruption non significa la fine dell'offline

La digital disruption è un termine molto di moda che sta ad indicare la trasformazione che ha portato l’era digitale in tutti gli aspetti della nostra vita: dal quotidiano al business.

Non ci sono dubbi sul fatto che il digitale consenta spesso l’eliminazione di intermediari e inefficienti e costose infrastrutture fisiche. Ma ciò non significa che il fisico sparisca del tutto.

Digital disruption: cosa significa per le aziende?

Se fino ad un paio di anni fa le aziende potevano scegliere se far entrare l’innovazione digitale all’interno del processo lavorativo oppure no, questo oggi non è più possibile: introdurre il digitale in azienda è una questione di sopravvivenza.

Esempi in tal senso sono Blockbuster, Kodak: la mancanza di adeguamento ha determinato la fine di questi colossi. Ma il problema non è stato non introdurre il digitale nel processo lavorativo, il problema è che la rivoluzione digitale ha portato con sé la nascita di nuovi bisogni, quindi nuovi mercati, che hanno soppiantato i precedenti.

Inoltre non basta inserire la digitalizzazione in azienda, è necessario avere anche un digital mindset per saper cogliere tutte le opportunità che questo strumento ci offre.

Introduzione delle innovazioni digitali con un approccio costruttivo in grado di percepire le opportunità che offrono, è l’unico modo per cogliere le opportunità e non subire le novità.

digital disruption

Disruption definizione

Non per forza il termine disruption deve essere interpretato con un’accezione negativa. Anzi in realtà sta ad indicare la proattività di un brand rispetto all’innovazione.

Il termine disruption collegato alla rivoluzione digitale, come disruptive innovation, è stato inizialmente collegato a quelle aziende che non si sono limitate ad aggiornarsi o ad inserire il digitale in alcune fasi del processo lavorativo, ma hanno rivoluzionato il brand, creando nuovi posizionamenti, scovando nuovi target di mercato, e creando nuovi bisogni.

Esempi di fusione fra innovazione digitale e tradizione

Accogliere la digital disruption non significa necessariamente eliminare l’interazione fisica.

Come è stato ben documentato, molte catene della distribuzione al dettaglio stanno trovando la maniera di creare un ibrido tra fisico e digitale che sfrutta i vantaggi dell’uno e dell’altro. E non sono solo i dettaglianti a farlo, lo stesso trend si può vedere in molti altri business che comportano l’interazione diretta con il cliente.

La digital disruption di Lafayette: esempio di fusione

Nella distribuzione al dettaglio, Galeries Lafayette rappresenta un tipico esempio.
Nonostante l’intensa competizione dei grandi magazzini online, GL riconosce l’importanza della prossimità fisica al cliente, quella prossimità che può assicurare solo un punto vendita tradizionale.
Entrambi i modelli, fisico e digitale, offrono dei vantaggi: il fisico aiuta a costruire una relazione emotiva con i clienti, mentre il digitale (in particolare l’AI) aiuta a capire meglio i bisogni dei clienti.
Mentre in passato le aziende si concentravano eccessivamente sul prodotto e non abbastanza sul cliente, i modelli ibridi possono mettere il cliente al centro del business.

Il nuovo store di GL avrà in assortimento una selezione accurata di articoli di lusso e ci lavoreranno dei commessi scelti per la capacità di interagire con i visitatori, l’expertise nella moda e nello stile, e la familiarità con i social media.
Questi personal shopper, detti anche personal stylist, stabiliranno un rapporto emotivo con i loro clienti, rendendo il negozio fisico un punto iniziale di attrazione e contatto.
A quel punto i clienti possono poi effettuare transazioni digitali.
La nuova tecnologia aiuterà gli addetti alle vendite anche a “ricordare” i clienti e le loro preferenze, e a identificare benèfici accessori di loro gradimento.

I clienti apprezzano la visita a un grande magazzino fisico perché possono vedere e toccare i prodotti. Possono prenotare gli articoli online e provarli senza impegno in negozio. Oppure possono acquistarli su Internet e ritirarli semplicemente nel punto vendita.
In entrambi i casi, i venditori devono imparare ad agire da personal shopper e i dati sul prodotto e sul cliente che hanno a disposizione li mettono in condizione di farlo.

Bonobos e Warby Parker, esempi di fusione

Molti brand digitali fin dall’origine stanno convergendo sullo stesso percorso.
Bonobos, per esempio, che è nato digitale, adesso usa negozi fisici per consentire ai clienti di provare i suoi capi.
Dopo l’acquisto, i capi vengono spediti direttamente da un magazzino centralizzato.
Anche Warby Parker, un’altra catena nativa digitale, usa negozi fisici per creare esperienze apprezzate dai clienti.

Come GL, questi retailer soddisfano bisogni che il digitale non è in grado di soddisfare – creare connessioni emotive e provare indumenti o montature – pur usando la tecnologia per sfruttare dati e ottenere efficienze di costo.

Conclusione

Per quasi tutte le aziende, anche quelle veramente minacciate dalla digital disruption, la trasformazione digitale non richiede quasi mai un ripensamento totale della proposta di valore o del modello di business. Richiede piuttosto la trasformazione delle attività “core” tramite l’utilizzo di strumenti digitali e la scoperta e lo sfruttamento di nuove opportunità offerte dal digitale.

Ognuna delle aziende che abbiamo descritto ha incorporato elementi digitali diversi nel suo modello di business e non tutti i cambiamenti effettuati erano disgreganti o intrusivi.
Le chiavi del successo sono state: focalizzazione sui bisogni dei clienti, flessibilità organizzativa, rispetto per il cambiamento incrementale e consapevolezza del fatto che nuove competenze e nuove tecnologie non si devono solo acquisire ma anche proteggere: una cosa che le aziende tradizionali hanno sempre saputo fare bene.


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